martedì 10 febbraio 2015

prefazione

Un auto giunse nei pressi della vecchia chiesa mentre le ombre della sera stavano lentamente scendendo. Quel lungo giorno sembrava non avere mai fine. L'estate ormai al termine era stata così asciutta d'aver reso quella strada sterrata appena percorsa una coltre di polvere, straripata ovunque.
Si aprì lo sportello, ne uscì una giovane donna intenta a sistemarsi la gonna fuori posto, dopodiché chinatasi verso l'abitacolo invitò suo figlio a fare altrettanto. Dal brontolio che ne segui, simile ad un piagnisteo, s'intuiva che la voce era di un bambino, ostinato a rimanere nell'auto, come una castagna nel suo riccio, 
La mano di lei lo tirò verso di se estraendolo con forza dall'abitacolo. il ragazzo implorando cercò di farla desistere facendo leva sul suo istinto materno, ma sua madre fu irremovibile. Comprese d'aver perduto la possibilità di averla vinta in quel tira e molla così scoppiò in un pianto a dirotto con le lacrime che venivano giù copiose. Il vento era cambiato. Questa volta nessun cuore materno sarebbe stato disposto ad ascoltarlo. Sentiva la mano di lei, salda, tenerlo stretto. Si arrese abbassando la testa. Mise un piede dopo l'altro e si incamminò al suo fianco. Non presero la direzione della chiesa, ma il viale che conduceva all'edificio di fronte. Aveva sui lati due piccoli giardini recintati, colmi di rose bianche, dalle quali non proveniva alcun profumo. Forse la brezza della sera lo portava via con se, prima che le narici potessero avvertirlo. Il bambino guardò all'interno di una rosa dove aveva intravisto uno scarabeo dorato. Se fosse riuscito a catturarlo avrebbe potuto legargli un filo ad una zampa e farlo librare nell'aria come un aquilone. Tentò di catturarlo, ma sentì il corto guinzaglio del braccio di sua madre impedirgli la presa. Conosceva la sua risolutezza quando non era aria, Si strinse tra le spalle incupito. Un portone scuro che incuteva timore gli stava venendo incontro.
Sua madre si fermò per ricomporsi. Il bambino ne approfittò per alzare lo sguardo e squadrare l'edificio fin dove giungeva il suo perimetro. Nel cielo, popolato da centinaia di rondoni le grida riempivano il vuoto dove le prime stelle cominciavano a sistemarsi sullo sfondo dell'infinito. Avrebbe voluto rimanere per sempre su quella soglia senza mai varcarla. 
Una piccola suora rispose al rumore del battente sul legno. Diede un'impressione stonata, nel vederla aprire un portone di quella mole. Senza tanti convenevoli furono fatti entrare, richiudendo alle loro spalle. Gli occhi del bambino scrutavano, muovendosi veloci. Mentre i cinque sensi cercavano a modo loro di interpretare quel luogo, il sesto continuava a tormentarlo. Avvertì un odore di orzo e latte provenire da una caraffa in acciaio, tonda con il beccuccio, appoggiata sopra un tavolo, Forse la suora lo aveva appoggiato lì prima che la visita interrompesse le sue mansioni. L'ingresso era poco luminoso, ma la poca luce si rifletteva sul pavimento tirato a lucido,nascondendo agli occhi il lato di una larga scala che riempiva quasi totalmente la stanza. Ne discese un'altra suora che lentamente si stava adesso dirigendo verso di loro. "Sono suor Marta, la direttrice e tu devi essere Michele" sentenziò rispondendosi da sola. Il ragazzo al tono di quella voce si nascose dietro la gonna della madre, che rispose per lui " Michele saluta la madre superiora". Dalla familiarità del dialogo capì che quella non era stata la prima volta che si incontravano. C'era stato un accordo fatto in gran segreto tenendolo all'oscuro di tutto. "Quanti anni hai?" incalzò la suora senza ricevere però alcuna risposta. "cinque e mezzo " rispose di nuovo sua madre per lui, cercando di farlo uscire dal suo nascondiglio." Vieni" disse la suora " Qui ci sono tanti bambini come te". Lo prese per mano portandolo in un'altra stanza, distraendolo per far si che la madre potesse allontanarsi.
"Per me si va ne la città dolente, per me si va ne l'eterno dolore"
Chissà se Dante entrando nell'inferno avvertì la stessa mancanza d'aria.
Tutta quella gentilezza di proforma sparì appena il portone si richiuse, dividendo il legame, inghiottendolo e spezzando per sempre il cordone ombelicale. La libertà di un'infanzia spensierata e felice era terminata.
I bambini non smettono mai di giocare nemmeno sul teatro di una guerra. Li puoi rinchiudere in una piccola stanza, puoi togliere loro ogni libertà, non smetteranno mai di giocare. Troveranno il modo di farlo inventandosi un surrogato, dando vita a cose inusuali che prenderanno la forma degli originali. Un campo di battaglia, era il luogo dove una moltitudine di bambini si disputavano lo spazio per il gioco, una piccola stanza, vuota e svuotata di tutto, dove piccoli e grandi, convivevano asserviti alla legge del più forte, C'era curiosità verso quel nuovo arrivato, Piangeva in silenzio in un angolo, Sembrava uno di quei rondoni caduto, ancora con le ali dischiuse. Voleva volare libero, ma era stato catturato e d'ora in avanti, avrebbe dovuto conformarsi, smettendo di pensare a quel che aveva lasciato la fuori. Il suo mondo, da quel momento, era chiuso dentro una gabbia.
Si sentiva solo, abbandonato in un luogo sconosciuto. Nessuno si era preso la briga di inserirlo nel gruppo. Inconsapevolmente comprese per la prima volta cosa vuol dire contare solo su se stesso, il primo insegnamento che la vita gli stava dando, il primo di una lunga serie.
Vai bambino, con una fata mano nella mano, in un mondo pieno di pianto, più di quanto tu possa sopportare.

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