sabato 5 dicembre 2015
Io e lui diversamente disabili
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Ho bisogno di farti una rivelazione. Ascoltami,
aiutami a fare il primo passo per abbattere il muro che da sempre esiste tra non vedenti e normovedenti, tra disabilità e normodotati.
Per quanto è vero che io sono io, talune volte mi sono tenuto distante per paura di sbagliare l'approccio, tal altre di essere sincero di cuore senza riuscirci mai veramente, perché i rapporti con gli altri sono da sempre uno dei miei problemi. Già da bambino facevo fatica ad ingoiare aria e risputarla a parole. Un disagio, un insulto protratto nel tacere di fronte alla bellezza delle parole, senza riuscire a lanciare un segnale d'aiuto o un mayday.
Ma mi sarebbe piaciuto anche e forse di più, fossi stato capace di mettere a proprio agio gli altri, uno che aiuta la gente e non può fare a meno della loro compagnia. Non è andata così. L'abitudine a guardare la bellezza mi ha messo sotto gli occhi le nostre diversità: La sua bocca non si apre elegante, non fa danzare poche sillabe alla volta, nè accenna sottili sorrisi. Non riuscivo nemmeno a capire cosa mi stesse raccontando con quella sua gioia sommessa. Parlava senza fiato, senza metodo, in un dialogo solo accennato, dove il buio regna sulla bocca incomprensibile.
Il primo appuntamento e sono io che non capisco che non so fare niente di quello che vedo e ignoro pure che meccanismo c'è dentro e quale processo c'è dietro. Il silenzio educa all'ascolto, alle parole mute dei sentimenti taciuti, agli sguardi distanti che ti scrutano, insegna la bellezza delle cose, accende l'attenzione su chi vive la vita degli altri dal piano terra, senza disturbare nessuno. La sua vita è fatta così, resta sempre al suo posto, sempre uguale a se stessa, rigida e con poche cose da dire, senza atomi di bellezza.
Io e lui, per certi versi siamo due pianeti simili, su orbite parallele, intorno alla vita degli altri.
E' bella la vita di voialtri, sapete? Siete tutti belli a guardarvi.
Tra due universi c'è sempre un pezzo di strada da fare. Sono andato nella sua direzione per incontrarlo, per pedalare insieme con le nostre biciclette, nel cielo di una brezza fresca e disegnata di foglie autunnali.
La sua scia alzava le foglie e le faceva volteggiare a destra, poi a sinistra, poi le spingeva in avanti, poi le risucchiava indietro.
L'andatura era così fragile che ogni volta ero pronto a raccoglierlo, se ce ne fosse stato bisogno.
Le parole mute tra di noi, spiegano il valore della lentezza, rieducano all'ascolto del cuore, all'attenzione nel prendersi cura degli altri.
Lo vedo. I suoi occhi asimmetrici, scuri e con gli angoli un poco rivolti in basso, questo pensavo, mentre stringeva morbido, le mie mani alle sue.
La mia sfera dell'intimità è data dalla distanza del mio braccio teso con il mondo, un mistero trascendentale che emerge quando c'è da conoscere un altro microcosmo. Lo ha spezzato quel suo bacio, un atto di congedo che contiene oltre il grazie anche l'arrivederci.
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PeSte©2015
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