domenica 4 dicembre 2016

Anima

Ho più anni di una quercia,
e se d’antico e fuori tempo suona quel che dico
è per sottrar parole a questo tempo impudico,
dove sembianze, secolarizzazione ed apparenza
costituiscono il nocciolo duro dell'esistenza.
E tutte le domande trascendentali, la vita e la morte,
il sesso, il linguaggio, la precarietà dell’eterno …
sono di un'intensità tale che cadono di senso.
Si vive d’una sola vita e non è eterna,
occorre d'esser pronti al passaggio del testimone,
invece io m’aggrappo ai sogni: nemmeno fossero veri,
nostalgico d'un male strano, intangibile, senza dolore,
forse d'un pensiero troppo classico per il presente.
Il mio è un abuso di potere, un eccesso d'arbitrio,
una condizione troppo personale di questi tempi.
Un concetto per altro assolutamente superato,
giacché pattuire compromessi con il proprio vero io
pare sia la scelta più giusta da operare.
Fa pena una voce che illumina le proprie disgrazie
d’una luce troppo saggia, spaventa per la rinuncia
a tutto quel che per altri è necessario.
I fondo i confini dell’anima, per quanto a fondo tu vada,
non potrai mai trovarli, neppure se dovessi percorrere
ogni sentiero, tanto profonda è la sua misura.
Così datemi del “perdente” giacché non ho conquiste da esporre,
trofei da tendere, possessi da reclamare.
Solo un vano sperare, prima che giunga l'eterna disperazione,
ormai inutilmente supino nel fossato d'un muto abisso,
fiero di orgogliosa epigrafe: "In vita sono stato".

Nessun commento:

Posta un commento